IL DONO DELLA RINASCITA
La testimonianza di Elisa Pizzo

 

Un sorriso autentico, uno sguardo grato e una carica emotiva contagiosa, potente, che arriva dritta al cuore. È il ritratto di Elisa Pizzo, quarantacinquenne di Bologna. La sua storia parla del regalo più prezioso che una persona possa ricevere: la vita.

Era il 2017 quando a Elisa è stato diagnosticato un epatocarcinoma. Da lì la necessità di un trapianto di fegato, l’attesa snervante, l’intervento. Poi, la rinascita. Un percorso lungo e complesso, che oggi ha scelto di condividere con l’intento di sensibilizzare più persone possibili all’importanza di dichiarare in vita la propria volontà di donare. Una decisione che può davvero fare la differenza.

 

 • Elisa, come hai vissuto l’attesa del trapianto?

Come un tempo faticoso e doloroso, letteralmente “senza una fine”. Sì, perché quando sei in attesa di un trapianto non hai una data prestabilita a cui mirare per la risoluzione dei tuoi problemi, non puoi fare altro che aspettare una chiamata che può salvarti la vita, con la consapevolezza che potrebbe anche non arrivare.

Il prurito diffuso alla pelle, uno dei sintomi della mia malattia, non mi dava pace, né di giorno né di notte, e questo, assieme al fluire di brutti pensieri, ha acutizzato ulteriormente l’angoscia dell’attesa.

 

• Ma poi quella chiamata è arrivata…

Sì, e da allora la mia vita è cambiata. Ricordo di aver vissuto un momento di felicità piena nel sentire quelle parole. Non ero veramente conscia della delicatezza dell’intervento, in quei momenti sei come dentro ad una “bolla” che ti protegge dalla realtà che stai vivendo. Difficilmente dimenticherò le ore prima dell’intervento ma, alla fine, quando sono entrata in sala operatoria ero serena: mi sono affidata completamente alle mani dell’equipe di professionisti della Chirurgia Generale e dei Trapianti. Persone come loro, che si prendono cura di te, diventano facilmente i “tuoi” eroi.

 

• Quando hai riaperto gli occhi come ti sei sentita?

Ho riaperto gli occhi frastornata per l’effetto dei farmaci in terapia intensiva, un luogo vuoto, in cui non c’è spazio, non c’è tempo, non c’è una dimensione, non c’è nulla di privato. Avevo come un buco nei ricordi delle precedenti 24 ore, tanto che ho chiesto ai miei familiari di raccontarmi come fosse andata. Poi, finalmente, mi hanno trasferito in terapia semi-intensiva, è stato lì che ho iniziato davvero a realizzare…

 

Qual è stata la prima cosa che hai desiderato al tuo risveglio?

Devo essere sincera? Una brioche con la glassa di zucchero! Certo l’ho mangiata sei mesi dopo, perché, come vi immaginerete, il decorso post-operatorio è stato lungo e complesso, ma, ancora oggi, quando vado al Policlinico Sant’Orsola per le cure di routine, mi fermo a prendere quella stessa pasta al bar. Il secondo desiderio però, quello più importante, è stato ripromettermi di raccontare la mia esperienza, un modo per ringraziare chi mi ha permesso di essere qui e di ricordare a tutti la portata del dono enorme che ciascuno di noi ha la possibilità di fare.

 

• Se dovessi descrivere il concetto di dono come lo faresti?

È un urlo, un grido. È vita, è bene, è felicità. Il dono ha un potere emotivo così grande che si fa fatica a contenere e a spiegare. Diamo sempre per scontato che tutto ci sia dovuto, invece esistono cose che non si possono comprare, che non si possono pretendere, devi solo sperare che ti vengano date in dono: un regalo impagabile.

 

• Ti è mai capitato di pensare a chi ti ha fatto questo dono?

Sì e lo farò per tutta la vita.

L’unico modo che ho per comunicare davvero l’immensa gratitudine che sento verso di lui e verso la sua famiglia è trasmettere con entusiasmo l’importanza di dichiarare la propria volontà di donare nelle scuole, tra gli amici, alla mia famiglia, nelle interviste. So che è una goccia nel mare ma anche una goccia può fare la differenza.

 

• Com’è cambiata la tua vita dopo il trapianto?

Chi riceve un trapianto di organi compie gli anni due volte: esiste una vita prima dell’intervento e una dopo l’intervento. Io sono rinata e da allora è cambiato tutto in me: come assaporo la giornata, lo spirito con cui prendo le decisioni, gli schemi mentali con cui valuto le criticità quotidiane. Ma la cosa più importante è che sento la responsabilità di avere qualcun altro che vive “assieme” a me, di cui devo prendermi cura come il regalo più prezioso. E questo è motivo di orgoglio e di forza.

 

• Le persone che ti stanno accanto come hanno vissuto il suo percorso?

In simbiosi con me. Non mi hanno mai lasciato sola, ma la vicinanza di qualcuno che ha vissuto la mia esperienza è stata la chiave. Per questo, assieme ad altri ragazzi che sono stati sottoposti ad un trapianto, abbiamo creato un gruppo di Auto Mutuo Aiuto (AMA), il cui nome racconta la nostra storia “Epatosti”. Poter parlare sapendo di essere capita nel profondo, esternare i miei pensieri e condividere le comuni necessità, anche le più banali, e sapere che anche l’altro ha provato la stessa cosa ti dà conforto e ti aiuta a superare le difficoltà che si incontrano sul percorso.

 

• Adesso come stai?

Sono qui, prima di tutto. E sto bene. Sono felice di aver raccontato la mia esperienza; parlarne la rende più umana ed emotivamente gestibile.

 

• Cosa ti senti di dire a chi sta leggendo la tua storia?

Siate consapevoli di avere nelle vostre mani una grande possibilità: salvare vite. Scegliete di donare! Basta un sì.